Open/Close Menu Maria Giovina Russo

gli strumenti del dire non sono il dire, vi è una discrepanza: una parte di uomo mancante

Ogni epoca che ha compreso il corpo umano, che ha almeno sperimentato il senso di mistero che provoca la sua organizzazione, le sue risorse, i suoi limiti, le combinazioni di energie e di sensibilità che contiene, ha coltivato e venerato la Danza.

Ogni arte si configura come un insieme di atti più o meno nascosti, ma è dalla qualità della loro successione e dalla persistenza di questi nell’opera, che valutiamo l’esistenza o meno della sua artisticità. Possiamo riconoscere di possedere un eccesso di potenza rispetto ai nostri bisogni:

possediamo più vigore, più possibilità articolari e muscolari di quanto i nostri bisogni richiedono

 

Ph. Spyke Jones

Filosofia della Danza 2013, ‘Subaquea’ Ph. Spyke Jones

Così scopriamo che alcuni di questi movimenti, per mezzo della loro frequenza, della loro successione e della loro ampiezza ci spingono fino a un’ebbrezza a volte così intensa che soltanto il totale esaurimento delle proprie forze può interromperne l’esasperato dispendio motorio. Vediamo troppe cose, percepiamo troppe cose di cui non facciamo altro uso e di cui nulla possiamo fare. Emerge la necessità di riconoscere al corpo una ulteriore identità che viene a radicarsi nelle sue intime strutture fisiologiche e che si manifesta attraverso l’azione, il movimento di cui si mostra capace.

Da questo aspetto del fare umano nasce un cosciente tentativo di esplorare una nuova concezione dell’arte e dell’uomo in generale: l’arte che si esprime attraverso il linguaggio deve superarlo per fare del linguaggio l’arte stessa. Anche solo per un attimo. Si gioca tutto nell’attimo in cui il nostro modo di essere non è più lineare, temporale, ma cosmico, sostenuto dall’intenso consumarsi di un’energia di qualità superiore.

Non è che la creazione di una specie di tempo, o di un tempo di un genere completamente distinto e singolare.

Per quegli occhi che trasformano tutto ciò che vedono in prede dello spirito astratto – la Danza è una forma del tempo.

 

Siamo dentro una durata da noi stessi generata, una durata costituita interamente da energia attuale, fatta interamente di nulla che possa durare.

E’ l’instabile. Si prodiga l’instabile – e a forza di negare con il suo sforzo lo stato ordinario delle cose, crea per lo spirito l’idea di un’altra condizione – di una condizione eccezionale. La Danza è il mito incarnato, uno stato che non sarebbe che di azione, una permanenza che si consolida attraverso una produzione incessante di lavoro, assimilabile al vibrante sostare di un calabrone davanti al calice dei fiori che sta esplorando – carico di potenza motrice – praticamente immobile e sostenuto dal battere incredibilmente rapido delle sue ali.

Tutte le sensazioni che sono al tempo stesso motore e movimento sono anche incatenate – e secondo un ordine preciso – si ripercuotono, si riflettono sulla parete invisibile della sfera delle forze di un essere vivente. Un particolare sguardo che si interroga – si inabissa senza prevedere la fine, entra in una interrogazione illimitata, nell’infinito delle forme interrogative.  E’ il nostro mestiere.

Esitiamo, fermi – sulla terribile soglia che separa una domanda da una risposta, isolando l’arte della Danza da un suo impiego immediato e da qualche espressione particolare. Potremmo davanti a quest’arte affliggerci con le solite domande, i soliti perchè e i come – ma non siamo addetti ai lavori. Non siamo ad-detti a nulla. Quanto è vero che lo sguardo proietta il mondo, non ci accontenteremo di subirlo senza tentare di approfondire il mistero di un corpo che – all’improvviso – come per effetto di uno choc interno, entra in una sorta di vita allo stesso tempo stranamente instabile e stranamente regolata; e allo stesso tempo stranamente spontanea ma stranamente complessa e certamente elaborata.

'Air' Giovina autoritratto, olio su tavola, 2001

filosofia della danza II 2001 ‘Air’ autoritratto, olio su tavola

Questa estraneità rispetto all’ambiente, questa assenza di scopi, questa negazione dei movimenti spiegabili, queste rotazioni complete che nessuna circostanza della vita quotidiana può esigere dal nostro corpo, questo stesso sorriso che non è indirizzato a nessuno, tutti questi aspetti sono decisamente opposti a quelle delle nostre azioni nel mondo pratico. Tutto cessa come il cessare di un sogno in cui nulla ci permette di pre-vedere che abbia una fine. Ve l’ho già fatto presagire – è un modo della vita interiore nella quale domina la fisiologia. Riconoscere questa possibilità vitale come l’esistenza in sè è rivoluzionario, nel vero senso della parola. Perchè è un diritto fondamentale perduto, dimenticato-dimenticando d’aver incarnato il mito attraverso un mondo coabitato dagli dèi in una costellazione universale di identità, come in una sola moltitudine.

Tutte le arti sono forme differenziate dell’azione, quando ogni azione non tende all’utile e allo stesso tempo è sottoposta all’educazione, al perfezionamento, allo sviluppo

 

Una poesia generale dell’azione degli esseri viventi che fa del corpo che in quel momento possiede un oggetto atto a trasformazioni, alla successione degli aspetti, alla ricerca dei limiti delle potenze istantanee dell’essere. La difficoltà che ci propone, la metamorfosi che da questa si ottiene, gli spaccati che si ricavano finiscono per allontanarci, a volte eccessivamente – dalla terra, dalla ragione, dalla ‘nozione media’ e dalla logica del senso comune.

Non appena è interamente se stessa, liberata da tutto ciò che è momentaneo e da tutto ciò che è dettato dal bisogno e al servizio di uno scopo, la vita viene afferrata dal ritmo e dall’armonia, dalla matematica nelle sue origini che regna nel fondo delle cose e diviene nuovamente visibile nella perfezione della figura

 

Questo è l’attimo in cui ci si affranca dalla quotidianità – unendo i più tragici contrasti trapassando nei movimenti originari, lenti o veloci, trattenuti o agitati, ma, in ogni caso, grandiosi e solenni. Si è nella propria figura originaria, non più contro qualcosa, nel dialogo e nella risposta. Sei quella figura, quel gesto, quel movimento. Forma originaria dell’esserci umano e al tempo stesso la forma originaria dell’essere in generale, dell’essere delle nuvole, del vento, dell’acqua e delle montagne fino al sole e le stelle.

Nel modo più immediato, nella sacralità di ciò che è originariamente essenziale non insegna nulla. Non discute nulla. Incede maestosamente

 

Filosofia della Danza III -2004

Filosofia della Danza III -2004


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necessario

“Ti accolgo nei miei domini, sulle mie libere praterie, nelle mie foreste. Farò le cose in grande: tutto o niente. Ecco perchè ti ho un pò lavorata, messa in riga, ti ho cotta al punto giusto, ti ho maturata per me. Vedi come sono raffinato. Io non prendo le tante anime sciocche che si darebbero. Voglio anime elette, insaporite come si deve di furore e disperazione”

Si infrange il Mito dell’Arte e la superstizione che l’artista sia un essere privilegiato, diverso dall’uomo comune: il genio vive in un mondo chiuso in se stesso – il mondo del maestro artigiano invece è un mondo abitato da altri uomini: è l’uomo integrato con l’artista che deve riemergere.

Possiede un’arte e la pratica: l’arte è ciò con cui agisce ed il valore del suo prodotto. Ha la possibilità di trarre da tutto ciò che fa – e per cui è pagato, la stessa quantità di piacere che gli procura la vita sentimentale o la cura di sé; in altri termini – la possibilità di essere un artista. Nessuna società che gli neghi questo può essere considerata civile.

Non possiamo fare a meno dell’arte – perché l’arte è la conoscenza di come le cose vanno fatte. L’arte è il principio della produzione.

Nell’esercizio della propria vocazione, l’artista non si guadagna da vivere con l’arte – egli lavora con arte ed entra nel commercio quando eventualmente vende ciò che fa. La pratica di un’arte e la capacità di guadagno sono due cose affatto diverse

 

Quando l’uomo non è scisso dall’artista è ricompensato per continuare a lavorare a ciò che costituisce la sua vita – “lavorare a ciò che costituisce la sua vita” perché l’uomo è ciò che fa”

un male necessario

‘sell your soul’ from Museo di Storia Personale 1996/2006

Trattandosi di una vocazione – richiede meditazione, isola l’uomo contro la sua volontà. Ma è un suo intimo possesso e appartiene alla sua stessa natura. Il piacere che ne trae – rende perfetta ogni operazione.
La sua specializzazione va a vantaggio di tutti gli interessati – dal produttore al consumatore.

E’ il modo attraverso cui l’artista può meglio edificare se stesso e allo stesso tempo veri-ficare, correggere la sua opera. In India questo si chiama “integrazione metrica del se” o “edificazione di un altro uomo” e va compiuta attraverso il perfezionamento dell’immagine del corpo: dall’idea alla sua manifestazione fisica; nel rendere udibile l’inaudito; nel pronunciare la parola primordiale, illustrare l’immagine primordiale

 

L’operazione dell’artista non è fatica senza senso. L’intenzione originale dell’operazione artistica è di rammentarci: una volta addestrati, i nostri sensi imparano a riconoscere bagliori di realtà nella nebbia delle apparenze – provocando quella trasformazione del nostro essere che è lo scopo di ogni atto rituale, come è necessario che sia perché sia efficace.

Noi diventiamo simili a ciò a cui maggiormente pensiamo. Si diventa della stessa materia di ciò su cui si fissa la mente. Proprio per questo ha importanza comprendere, svelare la realtà distinta dai suoi effetti. Secondo il processo artistico nelle arti tradizionali è possibile assimilando il conoscitore a ciò che è da conoscere, senza alcuna distinzione tra essere e conoscere.

La consapevolezza, può fare solo una cosa: comprendere e la comprensione in sé diventerà la trasformazione

 

Come nella scienza, una volta che il mistero naturale è svelato che si arriva a conoscere una legge e si può usare l’energia creativamente. La comprensione non è mai uno sforzo, è un fenomeno spontaneo. Tutto ciò che può essere fatto, può essere fatto tramite la comprensione. Se la comprensione non può far nulla, allora nulla si può fare.

Può accadere che si abbandoni tutto ciò che è falso, scegliendo di sacrificare tutto ciò che si guadagna con l’essere falsi. Può accadere che si diventi di nuovo autentici. Bisogna essere psichicamente in grado di lasciar accadere: l’operazione artistica, nel suo moto spiraliforme, come se si attraversasse un vuoto d’aria ci conduce in uno spazio nuovo – ma una volta raggiunto il giusto grado di resa – ci mette dinanzi ad un fatto:

il reale non è qualcosa che si deve raggiungere – il falso si raggiunge. Il reale non si realizza, non si coltiva – si scopre. Esiste già

 

Non devi sforzarti di conquistarlo, perché qualsiasi sforzo creerà un’altra maschera. La maschera richiede uno sforzo, il volto originale non richiede nulla, si rivela nel fare – nel giusto modo di fare tutto ciò che richiede di esser fatto.

Se il lavoro è una necessità, non per questo deve essere un male necessario. Piuttosto sarà un bene necessario se al professionista sarà concesso di essere un artista responsabile. E’ superfluo aggiungere che artista e committente hanno la stessa responsabilità: chi ne è sfruttato dovrebbe dolersi non solo della sua effettiva insicurezza sociale, ma anche della condizione di irresponsabilità che gli viene imposta da un sistema di produzione. Dovrebbe rendersi conto che la proprietà dei mezzi di produzione è anzitutto una questione di significato profondo – etico – e solo secondariamente una questione di giustizia o ingiustizia economica.

E’ possibile prendere in considerazione addirittura l’idea che le nostre ore di lavoro dovrebbero essere più piacevoli di quelle dedicate allo svago. E solo quando siamo liberi, fare ciò che ‘si deve’

 

Si potrebbe obiettare che questa immagine sia un residuato romantico, una figura fuori dal tempo

Senza dubbio, la società cambia rapidamente – insieme a lei, cambiano anche le sfide che siamo chiamati a sostenere e gli strumenti di cui ci armiamo per affrontarle. Eppure, i valori che ci permettono di vincerle sono antichi: l’intensità del lavoro, la curiosità, l’etica comportamentale, la forte motivazione, il rigore, la cura dei particolari. La passione.

Sembra paradossale, ma è solo rimanendo ancorati a certi valori che si riesce a stare al passo con i tempiQuesto modo di operare richiede che si apprenda ad amministrare il proprio capitale di motivazione. Ma non è, e non sarà mai, inattuale

ex-voto, Maria Giovina

Ex-Voto 2000, MariaGiovina

Lo scopo dell’artefice nella società è produrre una nuova realtà congeniale a questa nuova immagine che emerge. Uno strumento per la trasformazione di sè e del mondo.

Una volta che lo sguardo è desto, di un’attenzione indivisa – si fa strumento: per un principio automatico, come una macchina, comincia ad assumere vita, comincia ad intaccare la vita, a pretendere di fare e disfare la vita

 


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la danza negli occhi - open dance

Gli occhi possono apprendere la danza e danzare con grazia

Tutte le tecniche basate sull’osservazione ti rendono consapevole innanzitutto  di quanto il vedere implica energia in movimento verso il mondo esterno e di quanto sforzo implichi un uso scorretto o meglio – forzato degli occhi. Se questa energia, dovuta alla natura del loro movimento viene improvvisamente arrestata, troverà un’altra strada lungo la quale fluire con il minimo sforzo: quello che richiede naturalmente.

In questo modo si aprirà per te un mondo differente.

Comincerai a vedere cose che non hai mai visto, a percepire cose che non hai mai percepito, a sentire odori che non hai mai sentito. Un mondo nuovo, più sottile, comincerà a funzionare. Esiste già ma ora si rivela

 

La danza degli occhiMa prima di tutto è bene comprendere qualcosa sugli occhi.

Innanzitutto, gli occhi sono la parte più incorporea del corpo umano, la meno materiale. [bctt tweet=”Se la materia può farsi non materia, questo accade con gli occhi”]. Gli occhi sono materiali e immateriali. Allo stesso tempo, sono il punto di contatto tra te e il tuo corpo. In nessun altro punto del corpo avviene un incontro così profondo. Fra te e il tuo corpo esiste una grande distanza, ma negli occhi sei più vicino al corpo e il corpo è più vicino a te. Per questo gli occhi possono essere usati per esplorare quello che è definito il corpo nascosto. E’ sufficiente fare un salto partendo dagli occhi e sei arrivato alla fonte.

Questo non è possibile partendo dalle mani, dal cuore o da qualsiasi altra parte del corpo umano. Dagli occhi è sufficiente un passo per entrare in se stessi, da tutti gli altri punti il viaggio è molto più lungo e la distanza enorme. Ecco perchè le pratiche del tantra, dello yoga e di ogni disciplina in ogni parte del mondo usano in continuazione gli occhi. Da lì sei più vicino. In nessuna altra parte del corpo siamo altrettanto presenti.

E’ difficile lavorare sui propri occhi  perchè sono organi involontari: (è impossibile controllare la dilatazione delle pupille..) ma possiamo muoverli volontariamente e arrestarli fino alla lacrimazione, iniettarli di attenzione. Gli occhi sono delle porte – e le porte si attraversano. Se sai come aprirle diventerai vulnerabile, aperta. Ma se vuoi entrare nella tua vita segreta, se vuoi conoscere il tuo vero aspetto, dovrai lavorare sui tuoi occhi, e reggere questa vulnerabilità che in sè è molto potente. Se maturi questo coraggio – il coraggio di accettare questa vulnerabilità, avrai strumenti poderosi – e questa vulnerabilità smetterà di preoccuparti. Ma dovrai lavorare sui tuoi occhi, in quel caso potrai entrare.

Il movimento è la loro natura

 

Proprio come un fiume che scorre, non stanno mai fermi ed è a causa di quel movimento che sono così vivi. Il movimento è anche vita. Gli occhi sono molto liquidi, in costante movimento, questo movimento ha il suo ritmo, il suo meccanismo, la sua struttura: non si muovono a caso, senza regole. Il loro ritmo rivela molte cose: tutti i movimenti degli occhi sono collegati al processo del pensiero, se questo processo si arresta, gli occhi non si muovono, non occorre.

Per questo, se immobilizzi gli occhi, anche per un istante, il pensiero ha un arresto immediato (e viceversa). Puoi provare a fermare gli occhi su un punto preciso, su un oggetto in particolare e non muoverli più.

La loro natura è il movimento: puoi fermare gli occhi, ma non puoi impedire il movimento. Comprendi la differenza. Puoi fissare un punto e immobilizzare gli occhi, ma poichè il movimento è la loro natura, se non possono spostarsi da un punto all’altro perchè tu li trattieni forzatamente sull’oggetto, accadrà un fenomeno stranissimo

 

Se non permetti loro di muoversi da un punto all’altro nello spazio esterno – si muoveranno dall’esterno verso l’interno – perchè, ancora una volta – il movimento è la loro natura – hanno bisogno di movimento.  Se non consenti il movimento continuo da un oggetto esterno all’altro, bloccandolo – quel movimento fa un salto dall’oggetto esterno alla consapevolezza intreriore, lo sguardo comincia a muoversi all’interno. Ricorda questi principi e ti sarà facile comprendere le tecniche che incontrerai.

Cosa c’è all’esterno? All’esterno c’è lo spazio, l’immagine del mondo è nello spazio. E cosa c’è all’interno? All’interno c’è il tempo. La coscienza si muove nel tempo. L’immagine è dello spazio, il tempo è del corpo..quel movimento sei Tu

 

E’ naturale, ci muoviamo all’esterno perchè abbiamo dei bisogni che possono essere soddisfatti solo tramite gli oggetti, oggetti che si possono trovare solo se ci muoviamo nel mondo. Allo stesso modo, non ci muoviamo all’interno finchè non abbiamo creato il bisogno di farlo. Apprendendo – ci accorgiamo di non ricordare nulla in realtà, non abbiamo memoria, se non quando ricaviamo qualcosa di essenziale da esperienze che sembrano fulminee e occasionali, che spezzano semplicemente quel muovere in un cerchio dove si confonde il già visto con un ricordo, il già sentito come certezza, il già fatto come familiare. Quando solo s’intuisce che è quest’insieme che ci muove in realtà, la necessità di uscire dal solco è istantanea e l’apprendimento non può farne a meno, anche la memoria, il passato, la tradizione – assumono nuovi valori e significati.

Le tecniche sono semplici, ma non pensare che siano semplici. Quando le fai, allora scopri che è molto arduo.

“Qualunque sia la tecnica, la presenza attenta è l’obiettivo da raggiungere”

 

quello che vedi è frutto di attenzione, allora sei di fronte al fatto  che sino ad ora qualcosa è sfuggito ai tuoi occhi. Osserva e aspetta  senza anticipare nulla, così non potrai immaginare – non potrai ingannarti su ciò che vedi: se vuoi usarle per vedere strani fenomeni, il paradiso o  per un sonnellino, per rilassarti, per sognare, qui non è il luogo adatto. Invece si acquista una nuova vitalità quando una parte di noi osserva in continuazione. Questa vitalità troverà nuovi modi per esprimersi. Un attimo precedente, non avresti mai pensato potesse accadere.

Apriamo le danze.

Open Dance


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la non-immagine del libro rosso

In questi abbozzi ho tratteggiato per quanto è possibile un’immagine che se osservi attentamente con gli occhi del cuore, la stessa vista ti guiderà per la tua vita.

Ermete Trismegisto, Trattato IV, 11b

Ciò che è concretamente visto è difficilissimo da definire. I particolari sfuggono, mentre il senso generale viene colto senza difficoltà. Tra la percezione e l’immagine o idea avvertiamo una differenza di forza e vivacità.

Per qualche secondo osserviamo un libro dal vivace colore rosso e poi, chiusi gli occhi contempliamo l’immagine.

Se ci aspettiamo di vedere quello stesso colore, solo più fioco o sbiadito, ci sbagliamo di grosso. In verità non troveremo in questa esperienza nulla di simile a una vista o a una visione. Noi ricordiamo quel colore per pochi istanti, benchè non vediamo nulla di quel colore, eccetto la consapevolezza che potremmo riconoscerlo.

A questo punto diventa dubbio se noi abbiamo qualcosa come un’immagine nella nostra immaginazione. E’ un dubbio decisivo.

la non-immagine del libro rosso

E’ un fatto di comune esperienza che, in certe situazioni, noi contempliamo un oggetto ma siamo incerti su una sua qualità. Se fosse vero che la percezione ci offre un’immagine davanti alla mente, potremmo contemplare analiticamente le sue parti e sciogliere il dubbio. Invece non facciamo nulla del genere. Ciò che facciamo – l’unica cosa che possiamo fare è di avvicinarci all’oggetto, dando corso a nuove percezioni, a nuove esperienze dell’oggetto, a nuove scoperte relative ai suoi segni

Non esistono immagini assolutamente determinate: ciò che chiamiamo immagine, è uno schema di riconoscimento

 

La percezione non è una successione di fotogrammi che noi potremmo isolare e osservare a piacere. “L’occhio che percepisce interpreta continuamente segni”. Il percepire è una struttura ri-velativa: non ha nulla a che fare con una immagine che si imprimerebbe sulla retina, nell’anima, o chissà dove.

Andrò così lontano da dire che noi non abbiamo immagini neppure nella percezione reale. Per questa impresa la trama di ogni conoscenza si sfilaccia, il sogno svanisce.. e cos’è questo non avere immagini? Il nulla – direbbe il vecchio greco, è solo una cosa diversa – e non l’opposto di ciò che è.. Ma abbiamo detto addio, al nulla

 

Se non si accetta il nulla‘come diverso, nemmeno si possono dare nomi alle cose. Ma la separazione avviene:  Platone fa del nome un’altra cosa, un’immagine minore e i segni (spirituali) collocati dalla parte dell’ anima, che con il greco fa la sua prima comparsa.

Questo ‘dire addio al nulla’ – questo non occuparsene è l’inizio della scienza occidentale e dei valori morali che vi si impiantano.

Al posto del nulla viene posta la relazione, il legame con l’anima. Il nulla non ha logos, esso è mythos – e come tale, viene lasciato cadere nel mondo delle favole

 

Resta il fatto che io vedo, ma non vedo con la vista. La vista non è un oggetto visibile del mondo, mentre lo sono l’occhio, il nervo ottico, ecc. Che infatti non vedono niente. E neppure c’è la vista di qua (magari nella testa) e il mondo, il mondo visto di là.

Il mondo, il mondo visto e la vista coincidono

 

Tutt’al più possiamo dire che la vista è l’orlo, la fessura simbolica del mondo visibile. Noi, i vedenti, inclusi-esclusi dalla visione, noi gli sfuocati che stanno nel fuoco e nel punto cieco siamo al tempo stesso esposti al visibile e invisibili.

L’essenza stessa dell’immagine primaria non è altro che questo: “che io potrei infinitamente ri-conoscerla”. E’ per questa condizione  che la figura può raffigurare l’oggetto, che il dito può indicarlo, la parola può nominarlo, il segno designarlo.

L’immagine è l’essere originario nell’intenzione di aprire l’occhio alla visione, la bocca al cibo, la mano all’afferrabile, prima che tutto acquisti quell’esistenza separata che appartiene non al fare, ma  al “sapere cosa si fa”

 

trasparenzaIn sè l’essere originario non è visibile/raffigurabile perchè è la condizione stessa della visibilità. Qualunque cosa emerge da quest’essenza non è ciò che vediamo, ma uno dei suoi effetti. L’arte è il puro mezzo al fine. Un modo di vedere come in uno specchio, in un’ombra”. Sebbene questo modo di vedere sia preferibile al non vedere affatto, l’utilità dello strumento viene a cessare appena si attinga la visione “faccia a faccia”

Si mediti pure su quelle che sono le migliori forme. Indi le si respinga, fino alla dissoluzione totale, poichè sono mezzi per procedere in mondi sempre più elevati

Maitry Upanishad, IV,6

E questa è l’altra ineffabilitade: noi non abbiamo mezzi per considerare come è, ma per considerare come non è. Tutta l’arte primitiva, cristiana medioevale ed orientale è una teologia visiva: mezzi che non vanno confusi con il fine.

Il metodo duplice della via affermativa e della via negativa (dell’immagine-dell’essere-originario) sono complementari, ben lontane dall’escludersi: ciò che vediamo infine, è uno degli effetti , come appunto un riflesso, un’ombra. Per l’iconoclasta, che segue la via della negazione dell’immagine (che proietta un’ombra) pensare alla visione dell’essere originario nei termini di un concetto o di un’immagine, equivale a dimenticarlo. Rivelare implica un velare più che un dischiudere: un simbolo è un mistero, per metà aperto e per metà nascosto.

In entrambe i casi, l’immagine sorge naturalmente, non attraverso una ispirazione priva di scopo, ma attraverso un’intenzione fattiva e dinamica. Intenzione – anch’essa – disciplinata.

Il sorgere di un’immagine proviene infatti non da un atto di volontà, umana o divina, ma di attenzione (dharàna).

Quando la volontà è in stato di quiete, il semplice possesso delle immagini non ha nulla di meritorio in sè: non vengono create ma ri-velate, un velare più che un dischiudere in una luce senza sorgente

 

 


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unità_tensione_Maria Giovina Russo

Dall’esperienza primordiale della Cerimonia l’uomo esprime non un ruolo in funzione di una società, ma un’immagine di sè come parte del tutto, di un intero universo

Le cerimonie si verificano in un momento di transizione tra stati: la nascita, il matrimonio, la guerra, la malattia, la morte – sono momenti di grande incertezza e ansia. In quei momenti vogliamo il potere di frenare il caos. Fare arte ci dà la capacità di plasmare e quindi esercitare una qualche misura di controllo sul materiale disordinato della vita quotidiana. Gli esseri umani sono naturalmente estetici. È un’attività geneticamente predisposta, molto simile al linguaggio, di cui ne anticipa l’intento.

Come processo e comportamento esprime un linguaggio vivo e atemporale – segno manifesto dell’atto immanente, attraverso un’operazione che è sempre primordiale, dove ciò che è espresso ed il segno con cui si manifesta inducono all’esterno il loro senso in un’ azione, che è immagine di sè.  In altre parole

il corpo esprime l’esistenza totale che si realizza in lui  quando i segni che induce all’esterno ed il loro senso aderiscono totalmente, si incarnano senza rimandi a categorie vuote, pure convenzioni

 

Quando ciò avviene, il corpo esprime un linguaggio universale e atemporale avvalendosi di immagini che non potremmo più chiamare psichiche, cioè appartenenti a un differente ordine di realtà rispetto alle cose naturali – ma metafisiche – realtà assolute. Questa unità reale o centro di forza ha insieme la realtà dell’atomo fisico e l’esattezza del punto matematico.

Ph. M. Giovina Russo

il linguaggio universale del corpo

L’operare di un artista in questo piano metafisico non produce  convenzioni o interpretazioni personali – non estrae significati, piuttosto li rende disponibili, come immagini vorticanti attorno ad un nucleo primordiale. E’ la capacità umana di comunicare attraverso segni visibili e udibili. Questa unità del visibile e dell’udibile trova nei simboli dell’alfabeto la sua forma e la sua semplificazione più alta: nei segni alfabetici la sfera acustica e la sfera ottica sono congiuntamente rappresentate.

I segni qualunque linguaggio derivano da esperienze primordiali dell’umanità,  sedimentate nell’inconscio collettivo sotto forma di engrammi primitivi e tuttora operanti.  Una sorta di traccia mnemonica che si organizza nel sistema nervoso come conseguenza di processi di apprendimento e di esperienza. E’ l’elemento neurobiologico che consentirebbe alla memoria di ricordare fatti e sensazioni immagazzinandoli come variazioni biofisiche o biochimiche nel tessuto del cervello e di altre strutture nervose.

L’arte interviene come necessità biologica: questa manifestazione silenziosa ma suscettibile di vibrazione,  permette ciò che è ineffabile di mostrarsi, e che pertanto ha la caratteristica fondamentale di non lasciarsi significare dal linguaggio che comunemente traveste il pensiero.

Questo principio è reso manifesto dal valore della suggestione.

Non dicendo tutto quello che ha da dire, senza che intervenga un punto di vista soggettivo – l’artista lascia all’osservatore la possibilità di completare la sua idea, e così i grandi capolavori avvincono l’attenzione di chi li osserva finchè non si diventa almeno per un attimo parte della stessa opera d’arte

 

E’ un vuoto in cui possiamo penetrare e che possiamo riempire con l’intera misura della nostra emozione estetica. E in fin dei conti, non è la nostra immagine che vediamo?

Nei simboli si narra una storia condensata: nella loro forma e successione – una magica catena che celebra il trionfo dell’uomo sulla natura, la sua affermazione  psichica in termini di specie e di individuo. Di come l’uomo magico interpretò se stesso, di come prese coscienza in modo olistico di sé, della propria supremazia sull’animale e dei bisogni della propria sopravvivenza.

Il mondo magico ci presenta un fenomeno e una visione unitari, olistici, una totalità organica di vita e di pensiero sul mondo, un unitario universo di significati e di segni vissuti in un unico momento o gesto integrale e integrato.

Ph. M. Giovina Russo


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montagna

L’uomo montagna attenua la propria luce per potersi immergere nell’oscurità degli altri. Esita come chi attraversa un fiume in inverno; è indeciso come chi ha paura dei suoi vicini; è rispettoso come un ospite; è insicuro come del ghiaccio che si sta sciogliendo; è semplice come un blocco di legno non ancora scolpito; è vuoto come una valle; è privo di forma come acqua agitata

 

Immerso nell’arte di vivere in questo mondo, l’uomo montagna si occupa del presente –  e di se stesso. Il suo mondo interiore si incontra nella natura, e ieri si divide dal domani. Il Presente è l’Infinito in movimento, la legittima sfera del Relativo. La Relatività cerca l’Adattamento, ma l’Adattamento è Arte. L’Arte di vivere consiste in un adattamento costante all’ambiente. Accetta il mondo come è, cercando la bellezza nelle più aspre superfici – dove è quasi impossibile scorgerla.

Qui, l’immagine del mondo e l’immagine animatrice del corpo umano mantengono una fitta rete di contatti. Così i due versanti della montagna coesistono e non sono mai separati: umido e buio versante femminile e secco, luminoso versante maschile formano una totalità.

Questi due versanti mantengono anche aspetti fissi: infatti a ognuno dei due corrispondono vegetazioni e alberi di essenze diverse che non possono variare.
Tuttavia, in vetta, la roccia nuda presenta un aspetto unico che giunge fino alle nevi e ai ghiacciai.

A distanza, i colori ombrosi delle montagne si tingono di un blu più bello e più puro delle parti in luce, di conseguenza, se la roccia della montagna è rossastra, le sue parti luminose sono fulve, e più sarà illuminata più conserverà il suo colore naturale  Leonardo Da Vinci

Durante la salita, le fluttuazioni nate da eventi e comportamenti esteriori passano via rapidi: passano con leggerezza, si spengono in fretta senza lasciar traccia.. Impossibile indovinarne in anticipo la comparsa: sorgono rapidamente e scompaiono presto.

Una luce mette fine all’oscurità precedente: l’attenzione nell’istante luminoso così breve da non lasciare una scia duratura. Il ricordo di una folgorazione è quasi subito diluito: non viene registrato.

Quando tenta di ricordare quest’alternanza, il soggetto può chiedersi se non sia stato vittima di un’illusione. Questo va-e-vieni tra la notte e la luce, con un ritorno immediato all’oscurità, rischia di provocare un grande sconforto.

Superato questo, nella coscienza si instaura un senso di indifferenza. Questa nobiltà non fissa necessariamente l’attenzione. L’unico aspetto eccezionale è l’intensità: lacerando il quotidiano, questi bagliori segnalano il viaggio

 

Mentre si scala la montagna, questi diversi movimenti, passaggi irruenti tra luce e ombra – non si verificano. L’individuo si trova totalmente assorbito dal compimento di un’ascensione che gli toglie la possibilità di ogni pensiero. Eccolo interamente monopolizzato dall’istante.

La riconciliazione tra il versante in ombra e quello al sole diventa così totale che nessuna delle due facce conserva le proprie caratteristiche.

Per la montagna questi due aspetti rimangono irreversibili. Di qui la necessità di tener conto quando si inizia la scalata. Presenti nella persona votata all’ascensione della montagna interiorizzata, queste due facce si fondono.

Unendosi, annientano le proprie differenze.

Ulisse Bonifaci

L’Uomo Montagna. Ulisse Bonifaci su Falesia Olimpo, Manfredonia

Bisogna però comprendere il senso di stanchezza provato da certe persone preoccupate di non superare l’istante. Effettivamente, l’ingresso nell’istante non è un fatto rassicurante, e perciò si rimane sconcertati quando se ne prende coscienza. Se esiste rifugio – il più profondo, il più inattaccabile e più dolce per ospitare il proprio destino è nello spirito che migliora se stesso.

Il progresso che diventa rifugio cessa all’istante di coincidere con un miglioramento.

Caratteristica della salita è di non offrire più alcun rifugio, salvo luoghi provvisori che bisogna necessariamente abbandonare

 

Misurare alla partenza le proprie forze indurrebbe a scegliere la scalata di una collina invece che quella di una montagna. Ma sopraggiungono le energie – che all’improvviso animano il soggetto. Inattese, a volte ricevute con il contagocce – oppure la loro densità e ampiezza può lasciare sbigottiti, ma se ne coglie la funzione – l’apertura della prospettiva verticale. Più chiaramente, è il tempo verticale che il poeta scopre quando rifiuta il tempo orizzontale.

Questo tempo orizzontale si applica al divenire degli altri, al divenire della vita, al divenire del mondo. Ma il tempo orizzontale può incatenare e sospendere la salita: emergono allora tre esperienze successive, in grado di modificare le relazioni con il tempo orizzontale:

Si spezza il quadro sociale della durata, non riferendo il proprio tempo al tempo degli altri; si spezza il quadro fenomenico della durata: non riferendo il proprio tempo al tempo delle cose; e ancora – duro esercizio – si spezza il quadro vitale della durata:

non sapere più se il cuore batte, se spunta la gioia.. non riferendo il proprio tempo al tempo della vita. Di colpo si cancella tutta l’orizzontalità piatta: il tempo non scorre più, zampilla

 

 

 

Ulisse Bonifaci

Il maestro Ulisse Bonifaci durante la sua discesa

 

 


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Ph. Giovina Russo_muove a piacimento

Sentire tutto in tutte le maniere, vivere tutto da tutti i lati, essere la stessa cosa in tutti i modi possibili, allo stesso tempo realizzare in sé tutta l’umanità di tutti i momenti in un solo momento diffuso, profuso, completo e distante.  Fernando Pessoa

Colui-che-Colui-che-si-muove-a-piacimento simbolicamente, su un doppio livello di rappresentazione, è colui che vola o cammina sulle acque.

Le acque in tutte le tradizioni stanno a significare la possibilità universale

 

E’ la condizione del pensiero immobile: di chi non ha bisogno di spostarsi per essere in qualsiasi luogo.

Tutte e forme dell’arte e dell’addestramento tradizionali insistono sul fatto che i fini dell’educazione intellettuale e fisica non sono perseguiti separatamente: è sul corpo mente che si dovrà intervenire, se il corpo è centrale nel determinarsi dell’esperienza umana. Se diciamo che il corpo in ogni istante esprime l’esistenza – ciò è nel senso in cui la parola esprime il pensiero. Ed è attraverso una operazione primordiale che i segni stessi inducono all’esterno il loro senso, indipendentemente da ciò che è espresso.

Parliamo di una falda primordiale, primaria. Il che non significa propriamente antica, anche se antica lo è di certo. Le relazioni simboliche primordiali o primarie sono ancora con noi e sono ancora nascostamente costitutive del nostro modo d’essere e d’esperire

 

sebbene – per le opinioni del nostro intelletto – esse non sono più in primo piano. La nostra cultura, di fatto, le ha emarginate, pur continuando a nutrirsene

Parlare di un movimento a piacere significa parlare di un essere interamente in atto: la messa in opera di un principio in cui ogni potenzialità di manifestazione è stata resa attuale.

Quando l’uomo nell’immagine archetipica compie l’azione del Volare – essa deriva dall’incavo del nido irraggiungibile: è l’azione che separa lo sguardo dal nido stesso

 

La distanza e allo stesso tempo l’essere nel cuore del nido. Andare in posizione interna è svanire – o ancora meglio, insediarsi: questo non è solo rapimento, ma anche destrezza nell’azione. L’intuizione integralmente compiuta ancor prima che si intraprenda alcuna azione fisica è il principio di non causalità. Il pensiero allora è immobile. Pura immagine.

Questo pensiero immobile, che è il contenuto originario, l’identità stessa che si rivela – può essere immaginata come l’abilità di proiettare alcuni pensieri mentre ne manteniamo altri come un canovaccio su cui essi si mescolano a formare un’ azione di base

 

Come immagini – quella del camminare sulle acque come del librarsi in volo ne sono rappresentazioni potenti che simulano spazi di percorrenza da un luogo di origine remota – punto focale infinito nel quale l’unica esperienza possibile del reale ha luogo in un atto di non- differenziazione: oggetto e soggetto si fondono in un’unica esperienza. Qui non c’è distrazione dalla percezione, né dalla volontà propria – né dal pensiero proprio – ma trae a sé la forma stessa del tema cui l’attenzione era originariamente diretta.

Questa forma immaginata con tratti più marcati e migliori di quelli che l’occhio vegetativo mortale può vedere tra la pura immagine, e l’atto di questo corpo – di colui che si muove a piacimento – in un mare infinito di possibilità.

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nesting, Ph Maria Giovina Russo


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Ph Giovina Russo

L’unità, pur essendo in se stessa eminentemente concreta, si presenta allo spirito umano come un’idea astratta. L’atto di unire è una strategia che conosce i limiti della percezione.

L’analogia, il mettere insieme – crea tensione, polarità. E’ un flusso di percezione intellettiva che si determina tra due gruppi particolari. Fondere questi due gruppi in una metafora, in un simbolo è il corto circuito razionale.

I piccoli avvenimenti quotidiani mostrano i grandi voli delle opere dell’uomo, la sua filosofia, i suoi ideali. La Stanza del Tè è un’oasi in cui i viaggiatori stanchi, nel triste deserto dell’esistenza – possono incontrarsi e bere alla sorgente comune dell’amore per l’arte, in un Presente che è in infinito movimento e che necessita di Adattamento, e l’Adattamento è Arte, l’arte del Vivere.

Il Maestro del Te afferma che la commedia della vita potrebbe essere molto più interessante se si riuscisse a conservare il senso dell’unità: Il segreto del successo nella vita risiede nella capacità di saper conservare alle cose la giusta proporzione e misura e far posto agli altri senza perdere il proprio. Per poter recitare al meglio la nostra parte, dobbiamo conoscere l’intero copione: l’individuo allora non deve mai perdere il concetto di Totalità.

Sostenerne la tensione richiede un livello d’attenzione continuo, raffinato ma allo stesso tempo spontaneo. Uno scontro continuo di tensioni opposte, polari. L’attenzione è necessaria solo nel periodo d’apprendimento, così – la spontaneità e l’intenzionalità sono possibili purchè si apprenda la dissociazione  delle emozioni dagli schemi corporei:

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eliminando dal proprio comportamento l’elemento costrittivo e modificando le proprie abitudini in modo che si accordino con quanto si ritiene necessario e desiderabile.  Per essere utile nella pratica, l’azione non deve essere quella ideale, ma quella adeguata allo scopo.

Oggi crediamo che il sistema nervoso sia la sede – sia dei fenomeni emotivi sia di quelli razionali.

Dimentichiamo che mente, inconscio, volontà – ma anche forza, visione, unità – sono termini di classificazione, descrivono un modo d’agire e nient’altro – mentre pensiamo abbiano un’esistenza in sè. In realtà non hanno più esistenza della velocità. Non c’è velocità senza che un corpo si muova.

Mente, inconscio, volontà sono funzioni: non esistono prima che l’azione sia avvenuta

Questa valutazione ha un valore dato che suggerisce azione là dove prima sembrava non ci fosse nulla da fare. I moti della mente prodotti dal rapporto analogico tra il fruitore e l’opera – tra l’uomo e l’evento – diventano le fasi di un’azione.

Quando si afferma che l’arte imita la natura nel suo modo di operare si intende proprio il modo in cui le cose agiscono. Il principio per cui le cose sono ‘naturate’ – come, ad esempio – un cavallo è equino e un uomo è umano. L’arte è imitazione della natura delle cose, non della loro apparenza.  Non è più possibile chiamare arte ciò che è irrazionale.

L’arte così intesa è a tutti gli effetti un metodo, prima che un prodotto. Metodo che permette di esercitare le proprie capacità di percezione in ogni manifestazione della vita, del suo eterno mutare

 

acanto_1L’artista rende partecipe di un’esperienza, non comunica pensieri o concetti: slitta necessariamente dalla linea temporale ad una nozione di ‘Campo’ che è una compresenza di forze indeterminate in uno spazio (Vuoto) la cui entità abbatte ogni tempo narrativo sequenziale dove ogni storia personale, ogni narrazione diverrebbe un vicolo cieco. Qui l’artista matura la capacità di operare un distacco che attua attraverso il mito  spiegando la vita non più in base alle metafore che possono illuminarla – ma a tutto l’opposto: le metafore dominanti del tempo vengono estratte come immagini pure e giustapposte senza congiunzione in una forma.

Emerge uno stato di tensione dinamica e vibrante capace di provocare un vero e proprio shock che induce trasformazioni profonde a livello cosciente e capace di alterare la percezione dell’ambiente. Un’ idea dev’essere pura immagine completamente spogliata da connotazioni affettive prima che possa raggiungere l’inconscio – che ha potere esecutivo – non decisionale. Una volta che l’idea è presentata all’inconscio – sia essa piacevole o autolimitante – essa viene messa in atto. Così lo sforzo di volontà  sarebbe un ostacolo anzichè un mezzo per indurre se stessi a fare qualcosa.

il miglioramento non è mai il risultato dell’esercizio, quanto della capacità di organizzare i principi della mente stessaper considerare ed osservare il mondo in una luce diversa

 

Ignari della nostra percezione distorta, continuiamo a vivere in un mondo immaginario tutto nostro. Quando non si è capaci di sentire la differenza percettiva tra reale e immaginario si ricorre all’osservazione e all’imitazione cioè alla consapevolezza intellettuale che non è in grado, nè sufficiente per cambiare radicalmente le cose.  Il Senso dell’Unità, del Vuoto, la percezione di questo Nulla – è prevalentemente cinestetico: gli organi che hanno a che fare con questo senso sono sparsi in tutto il corpo attraverso le terminazioni nervose propriocettive e interocettive, ed il centro che le coordina è il labirinto.. Questo sentire è dunque un ascolto.

Oggi pensiamo di poter separare ogni parte dal tutto – ignorando la perdita del potere svolto da ogni funzione nella sua integrità – risolvendo di volta in volta le lacune comportamentali con tecniche pittoresche. Così separiamo tutto per un’immediata fruizione: l’amore dal sesso, l’arte dal lavoro, il compenso economico dal reale valore che doniamo al mondo – così da essere immediatamente aggiudicati al miglior offerente dal banditore. Perchè donne e uomini sono così interessati a farsi pubblicità? Non è forse un istinto che risale al tempo degli schiavi?

Unire significa realizzare l’unità nascosta nonostante le esigenze poste dalla diversità, e non per mezzo di queste esigenze Significa tenere conto dei mezzi che nella diversità si presentano, senza pensare che i suoi aspetti esteriori possono essere in se stessi importanti.

Nell’unire c’è la comprensione di opposte tensioni: è il principio di non-resistenza, il farsi vuoto/impersonale dell’artista – principio fondamentale in azione e reso manifesto dal valore della Suggestione .

Non dicendo tutto quello che ha da dire, l’artista lascia all’osservatore la possibilità di completare la forma

 

E così i grandi capolavori avvincono l’attenzione di chi li osserva finchè non si diventa almeno per un attimo parte della stessa opera d’arte. Vi è dunque un Vuoto in cui possiamo penetrare e che possiamo riempire con l’intera misura della nostra emozione estetica e vibrare corde dimenticate.

Può darsi che una persona dimentichi, ma la corteccia intenzionale può sperimentare e ri-sperimentare una possibilità.

Anche una sola esperienza, lo rende possibile.


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L’artista non è un uomo speciale, ma ogni uomo che non sia , o non abbia una sua vocazione – nella storia della cultura tradizionale – non ha diritto a uno stato sociale

Per questa necessità culturale si rese obbligatoria l’iscrizione ad una  corporazione, creata da artisti artigiani per svolgere un’attività e godere dei diritti politici e far riconoscere il proprio ruolo nella vita politica e nella crescita economica della città. In nessun luogo al mondo come in Italia la cultura affonda le sue radici nel lavoro, e questi nella pratica dell’arte. In una società così connaturata con l’esercizio di un’arte – non si riduce a una produzione di cose utili, ma è una vera e propria educazione all’uomo, un raffinato e altissimo metodo d’apprendimento.

Non c’è trattato in quel preciso momento che perda inchiostro inutile su un presunto scopo dell’arte. Non esistono dubbi: una volta stabilito che una cosa va fatta, è con arte che la si deve eseguire

Da questo punto di vista, la condanna più dura dell’attuale ordinamento sociale è la totale separazione del lavoro dai beni superiori della vita attraverso l’evasione e il divertimento – un errore fatale aver ritenuto che sia un godimento conquistabile nel tempo libero e non nel lavoro.

E’ attraverso l’esecuzione del proprio compito, che l’uomo raggiunge la perfezione, lo stato di maestrìa. In nessun altro campo al di fuori di una vocazione modellata e istruita potremmo fare meglio, ed essere sostanza piena

 

La vocazione, sia quella del matematico che dell’apicoltore come dello scultore è una funzione;

il suo esercizio, rispetto all’uomo, è il mezzo più indispensabile del suo sviluppo cosciente e, rispetto alla società, la misura del suo merito. L’errore fondamentale in quella che definisco l’illusione della cultura è l’assumere che l’opera d’arte sia la creazione di un uomo eccezionale, e precisamente di quel genere d’uomo che definiamo genio.

L’arte è saper fare, prerogativa di ognuno.

 

Non è il genio che conta, ma l’uomo che è riuscito a produrre un capolavoro.

E che cos’è un capolavoro? L’idea comune vuole che sia il risultato di un volo dell’immaginazione che, nella sua potenza, trascende il tempo e lo spazio, ed è destinato ad essere compreso più dai posteri che dai contemporanei. Il significato autentico e originale del termine è invece quello di opera realizzata dall’apprendista al culmine del suo tirocinio, una prova di competenza che si attende e si esige da ogni artista per essere riconosciuto come tale e come unico responsabile di ogni lavoro che emerge dal suo operato.

Una volta che riusciamo a riconoscere ciò a cui diamo attuazione, cominciamo a sentire di controllare la situazione, e riusciamo a preservare la nostra serenità nonostante le avversità: ci troviamo nel limite potenziale delle nostre capacità. Quella sorta di equilibrio instabile che viene abbandonato in ogni azione e recuperato per la successiva è l’essenza della maturità umana

 

Quando impariamo ad influenzarlo anche solo di poco, Il mondo è degno d’esser vissuto.

C’è così tanto da fare per rendere questo mondo più adatto per noi, che non possiamo permetterci di consumarci in sterili lotte interne. Va fatto qualcosa per migliorare e cambiare l’educazione e il mondo che la determina. Ma per rendere possibile questo cambiamento, ogni generazione deve attuare qualcosa su se stessa  per liberarsi da quelle convinzioni che alimentano infelicità e impotenza, che sono i frutti di un insegnamento sbagliato e di apprendimento scorretto.

vocazione

dangerous band, 2014 Maria Giovina Russo

Troppo spesso, vogliamo cambiare noi stessi e al tempo stesso restare come siamo:

è il risultato della convinzione di potersi tenere la propria consueta personalità e cambiare quegli aspetti del proprio comportamento che non amiamo. Mentre in realtà un radicale cambiamento comporta sempre un cambiamento di atteggiamento mentale, del modo di proiettare l’azione, la voce, il respiro e lo sforzo muscolare.

 

Solo imparando a riconoscere e a districare motivazioni attraverso il fare esperienza del loro effetto sullo stato del corpo ci si può sbarazzare della compulsione e dell’abituale, meccanica – sottomissione all’abitudine.

Quando rifiutiamo la naturale tendenza a cambiare, stronchiamo sul nascere qualunque trasferimento di apprendimento.

Non c’è altro modo di correggere e cambiare uno stato che non ci permette di essere l’autentica immagine che siamo, se non identificando ed estirpando la compulsività attraverso l’apprendimento della reversibilità.

La reversibilità si ottiene quando entriamo in uno stato di equilibrio instabile: vicino allo stato di equilibrio, occorre uno sforzo minimo per far pendere il piatto della bilancia in una qualsiasi direzione, perchè il bilanciamento instabile corrisponde alla configurazione in cui un sistema ha la sua massima energia potenziale.

La maestria non può non riflettersi nel corpo con cui la conquistiamo

 

In ogni istante o stadio di atto corretto, questo può essere fermato, sospeso o invertito senza nessun preliminare cambiamento di atteggiamento e senza sforzo.

Giovina Russo

La reversibilità è la caratteristica di un’azione corretta, compreso il sonno.

 

La persona ben coordinata, matura, come se ne trovano tra coloro che sono riusciti a fare della propria occupazione un piacere, può addormentarsi quando si sente di farlo e svegliarsi quando necessario. La capacità di arrestare un’azione, un processo, di ricominciarlo, invertirlo o lasciarlo perdere completamente è uno dei più sottili criteri di un atto corretto. Solo le persone veramente mature e ben coordinate possono interrompere un rapporto sessuale, rinunciarvi o riprenderlo senza alcun problema.

L’importanza della reversibilità sta nel fatto che è possibile solo quando c’è un possibile controllo di eccitazione e inibizione, e c’è un normale flusso e riflusso tra il parasimpatico e il simpatico. Il test di reversibilità vale per qualsiasi attività umana, considerata sia dalla prospettiva fisica, sia da quella emozionale.

 

Evidentemente tutto questo vede da vicino la creazione artistica e prima ancora, lo sbocciare dell’artista. L’artefice che permette al mondo di sperimentare la propria essenza ed il proprio lavoro.

Meglio: il proprio magistero.


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Maria Giovina Russo

scritto in treno da Roma verso Milano, il 12 aprile 2001
pensando alle opere di Maria Giovina

Entrate nel ventre del Coniglio Mannaro
come nella Balena di Giona
o nel Pescecane di Pinocchio

Il tempo è ferita, piaga aperta,
cicatrice.
Il tempo è silenzio
intervallo invisibile
contorno opaco
nello spazio bianco.
Guarda qui dentro
e troverai
quello che un poeta
chiamava siepe.

Corpi distesi
calori trovati
colori cercati
forme femmine
curve e sguardi

A volte ho l’impressione
di entrare in una scultura
o in un’anfora dipinta dall’interno
un cavallo di Troia visto da dentro?
rovesciamento di profondità
prospettiva che torna indietro
si rispecchia e ti riavvolge

e Maria Giovina sorella di Bacco e di Apollo
appare sguardo obliquo
con il mistero delle sue modelle
se ben guardi vedi gli dei
e le Muse e i loro altari
e in fondo a un pozzo
Salomè in forma di Madonna

Non c’è tempo per colmare ferite
spiegare può significare
pure questo togliere
il margine dove la carne
è scoperta.

Alessandro Marinuzzi

regista, pedagogo teatrale e attore

 

Maria Giovina Russo

il canto del segno

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