“Noi vogliamo estrarre da questo mondo un discorso, un racconto, un sentimento: o forse più esattamente vogliamo compiere un’operazione che ci permetta di situarci in questo mondo. Abbiamo a disposizione tutti i linguaggi elaborati dalle discipline più varie. Vogliamo estrarre il linguaggio adatto a dire ciò che vogliamo dire, il linguaggio che è ciò che vogliamo dire” Italo Calvino
Fuori, prima dell’Inizio c’è o si suppone che sia un mondo completamente diverso: il mondo non scritto, nè disegnato, nè rappresentato. Il mondo vissuto e visibile.
Gran parte di questo mondo si dissolve immediatamente come i sogni che non lasciano traccia nella memoria: storie informi, casuali, confuse, senza principio nè fine.
Nell’Inizio avviene il necessario distacco dalla potenzialità illimitata e multiforme per incontrare qualcosa che ancora non esiste ma che potrà esistere solo accettando dei limiti e delle regole.
E siccome la vita è un tessuto continuo, qualsiasi Inizio è arbitrario, perfettamente legittimo di cominciare l’opera in un momento qualsiasi – purché – dall’infinita abbondanza degli eventi sensibili possano darsi zone d’ordine, porzioni d’esistente che tendono verso una forma: punti privilegiati da cui sembra di scorgere un disegno, una prospettiva.
L’evocazione di immagini visuali nitide, incisive, memorabili, hanno un aggettivo che non esiste nella lingua inglese: Icastiche. Contro un automatismo che tende a livellare l’espressione, a diluire i significati, a spegnere ogni scintilla scaturita dall’attrito dello sguardo verso l’incomprensibile.
Ogni volta l’Inizio è questo distacco dalla molteplicità dei possibili, in modo che renda visibile le singole storie: una di queste minime porzioni in cui l’esistente si cristallizza in una forma, in cui acquista un senso, non fisso, non definitivo, non irrigidito in una immobilità mortale ma vivente come un organismo parassita del mondo reale (che appare ormai come sfondo).
Nei suoi limiti, saremo spinti ad esplorarne le profondità.