Open/Close Menu Maria Giovina Russo
Sdade de Miroir_ Maria Giovina Russo

Facciamoci poche illusioni:

Quello Spazio di tempo brevissimo che passa tra il momento in cui l’immagine si forma nella rete neuronale del cervello e il momento in cui ci rendiamo conto che quell’immagine siamo noi, è il momento degli specchi, è il momento del gioco del Doppio, è il massimo di conoscenza al quale possiamo aspirare.

E’ quando ci rendiamo conto di essere una cosa

 

Superato il primo stupore di fronte al fenomeno, l’uomo non si ritiene soddisfatto di un’osservazione di intensità sostenuta ma relativamente superficiale.
L’uomo in procinto di diventare tale si accanisce, non demorde.
Il fenomeno è vissuto come una sfida. La curiosità è mobilitata al massimo. La posta in gioco è alta: si tratta di passare dalla curiosità percettiva alla curiosità epistemica.
Non ci immedesimiamo più nella cosa rispecchiata. Assumiamo la capacità di produrre immagini come utensili, costrutti di rappresentazione visiva del reale.

C’è una trasformazione che avviene in un soggetto quando egli si appropria della propria immagine.

 

Il piacere dell’appropriazione di un oggetto tramite la sua immagine speculare ha avuto una funzione generativa rilevante nello sviluppo del nostro impianto cognitivo. Un elemento costante nella sempre rinnovata necessità, per tutti noi, bambini e adulti, di costruire una nostra rappresentazione del mondo.

Se la vista è Il senso che permette – per eccellenza – di rendere conto della verità delle cose  – L’occhio diventa un apparecchio ottico tra gli altri, che possono aggiungersi ad esso per accrescerne il potere, ma senza modificare l’economia del mondo percepito..  Almeno finchè l’immaginazione si manteneva nella prospettiva dell’ottica geometrica creata da Descartes – c’era insieme omologia e continuità tra l’occhio e il dispositivo ottico destinato ad accrescerne la potenza.

Tutto cambia – la rivoluzione ha inizio con Kant – quando l’uomo non è più percepito come un essere che prende conoscenza da un mondo retto dalle leggi dell’ottica, ma come un essere che riceve, attraverso i diversi sensi, messaggi di cui raccoglie e interpreta i dati, in modo da costituire un’immagine del mondo che richiede la partecipazione di tutto il suo essere.

L’occhio, allora, non è un apparecchio ottico che trasmette al cervello immagini che esistono così come sono all’esterno.

 

Ma è uno strumento di codificazione e decodificazione che trasmette informazioni le quali hanno continuamente bisogno di essere interpretate e la cui interpretazione varierà totalmente a seconda della natura dei segnali ricevuti e dalle disposizioni interne dell’essere che le riceve.

Da qui l’idea che aggiungendo al corpo – occhio un apparecchio che trasforma la natura di tali segnali, o meglio, rendendo l’occhio stesso recettivo a nuovi segnali, non ci si limiterebbe a modificare l’aspetto delle cose, a farle vedere più piccole o più grandi o deformate, ma si modificherebbe radicalmente l’essere-al-mondo del soggetto.

 

“Non somiglierete allora a un romanzo fantastico, vivente, invece che scritto?”

scriveva Baudelaire (in Paradis Artificiel)

 

Il momento degli specchi

Il momento degli specchi _biro su carta di cotone, Maria Giovina Russo 2016_ Appunti Visivi

 

I dispositivi ottici, che si tratti dello specchio, dell’inquadratura, della prospettiva, del rilievo, della luce, di un arco o in senso più ristretto della visione attraverso uno strumento determinato, non hanno soltanto rapporto col soggetto e col suo desiderio, ma col funzionamento del processo creativo come “macchina per far vedere“.

Questa convivenza tra l’immaginario e l’ottica si presta ad una forma di pedagogia dell’immaginario dove il superamento dei limiti, la messa in comunicazione di spazi incompatibili, la manipolazione delle dimensioni e delle distanze, la creazione di doppi artificiali o di copie, il magistero dell’illusione e la messa in discussione delle sue magiche illusioni danno luogo a una sperimentazione intellettuale di un’intensità e di un’arditezza particolarissime.

 

Ed è proprio questa esigenza di comunicare un progetto, di soddisfare il desiderio di una committenza di vedere in anticipo che è all’origine della professione di architetto. Insomma: l’architetto nasce come visualizzatore. Visualizzatore di opere monumentali. E’ in questo periodo che diventano sempre più sofisticate le tecniche di raffigurazione grafica al servizio del progetto edilizio.

Ma la creatività progettuale si è sviluppata nel contesto di un nuovo universo di modellazione – se si pensa che l’uomo stesso sta diventando oggetto di modellazione.

In realtà già da tempo le capacità intellettive, cognitive e sensorie hanno cominciato a essere replicate, ossia modellate:

 

Nel momento in cui la credenza sta per scomparire o è appena scomparsa l’immaginario è investito con maggior forza, in quanto beneficia ad un tempo dell’effetto di liberazione prodotto dall’adozione di una concezione razionale del mondo e del vuoto effettivo che provoca allo stesso tempo un passaggio obbligato verso una sospensione del reale.

La facoltà di cui è dotata l’immagine ottica con tutti i suoi derivati – di giocare a un tempo sulla credenza e la non credenza, di installare a livello percettivo un’incertezza che è fatta a un tempo di adesione e di rifiuto, spiega l’utilizzo come modello di quella strategia del nascondere/far vedere che conferisce al racconto-immagine tutta la sua forza di penetrazione nell’inconscio del fruitore.

Ma è il meccanismo stesso attraverso cui questi fantasmi vengono alla luce e le vie attraverso le quali si trasformano in testo, in artefatto fino alla più nitida scultura di sè a rivelarsi come fonte di godimento per gli altri: oggetti di cultura.

Ma come si riesce a scoprire, inventare o spiegare qualcosa tramite la raffigurazione?

 

Il disegno come tecnica di modellazione – in particolare il disegno come progettazione (di sè) si manifesta al contempo come disegnare durante il progettare e progettare durante il disegnare. E’ questa compresenza interagente fra il mezzo (disegno) e il fine (disegnare) che consente di avanzare verso la soluzione cercata e talvolta solo trovata.

Nessun aspetto della vita risulterà attutito: come momento centrale della formazione – accanto alla capacità di  contenuti della propria esperienza, senza lasciarli scivolare, ma raccogliendoli nella propria solida individualità vi è l’esercizio dell’attenzione. Il saper governare, oltre che possedere questa ricchezza, provvede ad articolare la totalità piena, ma indeterminata dell’intuizione.

Possiamo allora sviluppare l’abilità di fare quello che vogliamo senza doverci esercitare

 

Quando facciamo la cosa giusta sin da subito non avremmo fatto che un esercizio. Questo non è imparare.

 


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